Sul mio operato hanno scritto:

            L’atto creativo – quello più autentico e spontaneo – è finalizzato non tanto, o non solo, a rappresentare forme, quanto a catturare forze. Ecco allora che l’opera d’arte può, in rari casi, divenire una sorta di meccanismo magico, una trappola visiva        in    grado di catturare lo sguardo  dell’osservatore,  domandolo con il suo potere seduttivo. L’arte di Giampaolo Borgogno è fortemente incentrata su questa seduzione, sottile e potente al tempo stesso. In un clima artistico, come quello attuale, che predilige segni ermetici ed elitari e nel quale si stanno inesorabilmente perdendo gli antichi, nobili valori dell’Umanesimo, questo artista ha ancora il coraggio di porre al centro del proprio interesse la figura umana. I personaggi che popolano il suo cosmo figurativo ci catturano, da subito, con i loro sguardi ammalianti, che vanno ad incrociare i nostri, rendendoci definitivamente complici del loro intimo segreto. Non possiamo fare altro che ascoltarli, quegli sguardi, che seguirli all’interno della finzione rappresentativa, per ritrovare la loro verità, per indagare quel profondo mistero sul quale si basa ogni creazione artistica concepita con passione e con sincerità, come questa. Sono persone di tutti i giorni, gente comune, quella stessa che possiamo incontrare per strada o in un bar, ognuna delle quali, tuttavia, vive un’esistenza unica, che merita di essere portata alla luce attraverso questo mezzo espressivo. Sono personaggi spesso contraddistinti da una velata malinconia, da una percettibile solitudine, da uno sguardo talora ironico e disincantato nei confronti di ciò che li circonda, oppure si tratta di creature rese in modo sarcastico, con un tratto pittorico fortemente espressionistico, che va ad evidenziare la loro angoscia, la loro frustrazione, il loro senso di in-appartenenza a questo mondo.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                Ilaria Andaloro          

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        Lo sconcerto si avverte in tutti quegli artisti che si sono applicati a dipingere il quotidiano intorno a noi; sia quello urbano con il moltiplicarsi dei turbamenti e delle questioni umane, sia quello naturalistico. Non bastano più l'impaginazione accurata, il disegno, la modulazione dei toni e del colore, la composizione; né basta collocarsi nel filone di una scuola pittorica. L'attività artistica, oggi, è un fatto drammatico: mette in crisi tutto l'essere. Tra le difficoltà che incontra oggi un pittore il quale voglia narrare quel che avviene intorno a lui, forse la più grave consiste proprio nell' impossibilità di trovare un 'immagine visiva, pertinente, del mondo. Ogni legame col tradizionale racconto di figura si è spezzato: un secolo d'arte ha scavato quell'abisso che ci separa dal passato, invalicabile. Oggi il solo strumento capace di documentare, abilitato appunto a raccontare in figure subito accettate, riconosciute, appare la tele- visione: che ha imposto i propri tagli, i propri piani, i propri colori. Ma è un discorso "laico", quello televisivo, profano all'arte, al mistero di quell'invenzione che non è arbitrio, ma conoscenza.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                 Rinaldo Sandri

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        Che il mondo reale sia un inganno, un’illusione – una maya direbbero i bramini indù – è cosa risaputa. Ma per chi lo scorda facilmente, avviluppato nelle spire del serpente abissale Ananta, potrà ulteriormente ricredersi di fronte alle opere di Giampaolo Borgogno. Un pittore-affrescante, uno degli ultimi di una vasta quanto vivida schiera di affrescatori che hanno popolato, dagli inizi del cristianesimo al basso medioevo, le nostre chiese e case di immagini trasformate in racconti, di icone arricchite da una simbologia ormai sapere di pochi. Ed è soprattutto la tecnica, i procedimenti della creazione dei pigmenti, il sottile filo d’Arianna che lo unisce ad un fulgido passato, ad un’esperienza artistica – soprattutto quella medioevale – fortemente omogenea che si diffuse su tutto il territorio europeo. Lo accomuna agli affrescanti anonimi, a chi sapeva interpretare i bisogni dell’uomo e quelli di Dio, a chi sapeva comunicare a tutti ciò che oggi è a conoscenza di una ristretta cerchia.  L’illusione, dicevamo. In ogni opera dell’artista ciò che appare è soltanto una parte della percezione possibile. Il resto, per “impossessarsi” della totalità bisogna lasciarsi andare nel labirinto delle figure e scoprirne i particolari. Elementi minimali ma dal forte potere evocativo, sconfinanti, a tratti, in una ricerca più intima di trasformazione delle cose e del proprio Io. Una sorta di alchimia. Lavorando su di una parete la muta, la ricodifica (oserei dire la trasfigura), ma nello stesso tempo varia il proprio rapporto con le cose e con il mondo. Che sia una meridiana o un ciclo legato al sacro ciò è solo un presupposto per un viaggio senza fine, che non termina sicuramente quando si toglie l’impalcatura o il bianco mantello-vello che preserva l’opera dalle intemperie.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    Fiorenzo Degasperi

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        Già nell'uso dell'olio diluito era possibile intravvedere il tema dominante di una visione fondata interamente sulla progettualità grafica. Ma soltanto con una tempera all'uovo, che permette di operare in velature progressive, il grafismo necessario alla funzione drammatica dei suoi soggetti pittorici ha potuto trovare luogo in profondità e limpidezza e costituirsi come un elemento dominante. L'intera superficie di queste tempere, con le pulsazioni che la definizione in più riprese le conferiscono, viene a costituirsi - nel solco di un mestiere pittorico antico a cui Borgogno intende felicemente ancorarsi - come una tessitura di valori compositivi nella massima chiarezza di intenzioni e risultati. Simbolo visivo dell'attenzione di Giampaolo Borgogno sono dei personaggi che appartengono alla vita di ogni giorno: frequentatori di bar e discoteche, gente al mare, prostitute, candide casalinghe alle prese con i panni, ragazzi dopo una rissa rionale, gli imputati di un processo con i giudici, una ragazza alla visita medica. Tutte creature di un cosmo affrontato con il distacco ironico di una ripresa televisiva, appartenenti a un mondo carico di metropolitano, buzzantiano mistero. Figure inquietanti anche se permeate d'icastica ironia, talvolta rese con espressionismo esagerato, caricaturale. Le trasparenze che la tecnica pittorica scelta da Borgogno consente, mette in luce tutto il processo inventivo necessario a conseguire l'immagine definitiva, senza trascurare un tratto o un'ombra.  La pagina, per così dire, si addensa di un lessico di segni, di macchie, di toni progressivi in cui non può esistere alcun inganno. Ed ogni dipinto finito racconta perciò al pubblico avvertito la propria genesi inventiva, e dare giustificazione di ogni scelta compiuta.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        Rinaldo Sandri

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        I suoi quadri ,che inondano di colore lo spazio ci parlano del corpo contemporaneo, di di come il soggetto principe dell'arte di ogni tempo , il corpo umano, riesca a rinnovarsi e rendersi mezzo espressivo volto a una sincera meditazione esistenziale.  E' indubbio che le figure  che aleggiano nei suoi quadri  rimangono impresse nella memoria , sarà che egli impiega spesso la tecnica dell'affresco con la quale  realizza su commissione vari soggetti religiosi, sarà  che Borgogno è un rarissimo utilizzatore della tempera a putrido, tecnica antichissima  che si basa sulla miscelazione  di olii e resine in percentuale ben precisa che vengono poi amalgamati con i colori in polvere  producendo una vivacità cromatica estremamente luminosa, fuori dalla norma . La tecnica antica si fonde quindi con soggetti contemporanei, enigmatici che giungono a noi con una forza incredibile. Le sue anatomie raramente ci offrono volti, ma solo posture  e gestualità , quei mezzi espressivi silenziosi che al giorno d'oggi valgono più delle parole  e dell'espressività facciale. Le posture-come pure la gestualità delle mani-raccontano le nostre paure e le nostre sicurezze. Sono queste ultime che risaltano nei dipinti di Borgogno, guadagnandosi il primo piano. Mani venate, che indicano, che esprimono dubbio e che unite ad altre  consolidano amicizia.  E' comunque l'universo femmineo che si affaccia dai suoi quadri. Donne senza volto, ma che con i loro gesti spiccano di personalità. Figure attraenti, con quel colore così nitido e brioso carico di simbologie che fa risaltare le forme voluttuose. Ma questa è l'apparenza la bellezza femminile  come la possiamo apprezzare nella vita quotidiana; quasi un trucco, uno specchio per le allodole da parte dell'artista. Perché oltre quelle forme dai colori così sgargianti c'è altro. C'è la volontà  di emergere della donna  nella società, di non essere solo oggetto del desiderio, ma soprattutto detentrice di quella segreta e potenziale solidarietà che è tutta femminile.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                           Marco Tomasini

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         La donna, le mani  e…Ci lasciamo condurre dove portano le mani dei suoi personaggi: dalla visibilità del corpo, tutto colore e dinamismo, alle forze invisibili di cui esso si fa segno.  In particolare, alla forza ironica o malinconica  della donna, senza nome e senza volto.     Infatti,Giampaolo Borgogno, pur essendo ritrattista eccellente, in queste tele lascia solo qualche traccia del volto. Ci racconta di una donna immersa in situazioni di incompiutezza sociale, alla ricerca  di un’identità che le viene negata o da cui lei stessa rifugge. Donna sciolta o donna dissolta?  Ma ciò che ci seduce delle sue figure in generale è l’elaborata semantica del gesto, che si concentra nella struttura articolata e prensile, perfino rapace, delle mani. Come pittore  ed affrescatore,  Borgogno celebra in tutta libertà creativa ed intellettuale  da  “fuori-catalogo”, l’originaria funzione dell’arte. Perché riesce a fondere la propria coscienza indagatrice del senso e  non–senso dell’esperienza quotidiana, con una pregnante simbologia e con un rigore progettuale e tecnico degno degli antichi maestri di bottega (anamorfismo,  sezione aurea e tant’altro ancora).

                                                                                                                                                                                                                     Elena Fontana

 

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